6 Mag 2025
ANTONIO ROLLA RICORDA GIUSEPPE FRANCOBANDIERA
L’artista pugliese racconta al cronista il fecondo intellettuale e mecenate lucano
di Franco Presicci
La bicicletta è libertà, sport, velocità e tante altre cose. Per Antonio Rolla è metafora del viaggio: partire, andare lontano, lasciare il vecchio per il nuovo, incontrare altra gente, fermarsi in altri luoghi. Tutto questo rappresentano quelle “due ruote” addossate al muro, sotto una finestra, ai piedi di un monumento, in un cortile, in una piazza, nelle sue opere pittoriche che esercitano immediatamente un’attrattiva, una gioia di luce, un’atmosfera di poesia, un’espressione di serenità e di pace.
Antonio Rolla è nato a Taranto, ma aveva bisogno di altri spazi, di crescere in un altro clima, fra altra gente. La sua bicicletta è anche il sogno. Un pedale divelto vuol dire delusione, sconfitta, abbattimento. Andare vuol dire anche tornare. La bici è anche la nostalgia del ritorno. Guardi una tela di Rollo e immagini creature, voli con il pensiero: sei un’aquila che plana osservando il paesaggio, che è interno a te, come un distesa di speranze.
Li ho osservati, questi suoi quadri: ristorano lo spirito, anche per quei muri bianchi come il latte: bianco interrotto da un fiore. Icastici volti di donna del contado, volti incartapecoriti, e uomini robusti che si tolgono la canotta quasi a volersi prendere tutto il calore del sole. I quadri di Antonio Rolla contengono il rigore dei sentimenti, la forza dell’amore, il desiderio di una vita migliore, più vicina agli altri. Quante cose può significare una faccia, una sagoma. E la bici, anche se legata a un palo.
Antonio Rolla trasmette emozioni, coinvolge, ha l’intelligenza della composizione, dello spazio. Poche pennellate e sorge la figura. Dipinge da una vita. Alle elementari già disegnava e il maestro Pelillo, spiegando il succedersi delle stagioni, lo invitava a disegnare alla lavagna i frutti che ognuna di loro portava. Già allora aveva una linea spontanea, decisa, continua. Andava a scuola con sacrifici e arrivò al diploma magistrale, per accontentare la madre, colmando il tempo libero infoltendo le pagine bianche con schizzi.
Poi passò alla tavolozza, senza colori sfavillanti. Raggranellò un po’ di denaro e poté prendere la strada del liceo artistico di Lecce, dove conseguì il diploma. Per raggiungere la scuola andava in piazza Ramellini, dove alcune automobili Lancia Appia fungevano da autobus e portavano i passeggeri alle loro destinazione: Sava, Manduria, Latiano, San Pietro Vernotico, Lecce. Una volta si accorse di non avere i soldi per il ritorno, e mentre attendeva un santo protettore fu interpellato da un vigile urbano, che resosi conto della situazione, lo accompagnò in un alberghetto vicino alla stazione, dove venne ospitato sulla parola: pagò il giorno successivo.
Con il diploma in tasca se ne andò a Roma. Era la fine degli anni ‘60. Nella Capitale fece il pittore di strada a Trinità dei Monti, a piazza Navona… La mamma non sopportava la sua assenza, e lui tornò per farla contenta. Ignorando che la donna si era rivolta a don Angelo Dettorre, della chiesa di Sant’Antonio, il quale, viste le sue opere, lo presentò al liceo artistico Lisippo che stava incrementando il numero degli alunni. Dopo il giudizio più che positivo dell’apposita commissione, Rolla fu assunto come assistente, diventando poi docente di ruolo di discipline artistiche e vicepreside.
L’ho ascoltato con piacere, a lungo, questo giovanotto di 78 anni ancora ricco di entusiasmo e di energie. Ha tante cose da raccontare che ogni tanto ho dovuto fermarlo. Non parla tanto di sé, ma di Taranto, dove la sua bicicletta qualche volta ha perso il campanello o addirittura la sella o la ruota. Anche questi imprevisti sono metafore di incomprensioni, delusioni, invidie.
Improvvisamente il suo treno cambia binario. “Ho conosciuto Giuseppe Francobandiera”, “Ottimo, parlami di questo grande personaggio, che purtroppo non c’è più”. “Lo conobbi nel ‘70, quando già dirigeva il Circolo culturale Italsider, con sede in corso Umberto, dov’era in corso una mostra dell’amico Alfredo Giusto. Da questa esposizione nacque una stima reciproca, che negli anni divenne amicizia, dimostrata fra l’altro dalle tante volte che mi coinvolse. Per la presentazione del suo libro ‘L’ultima stella del carro’ nel salone delle feste della Sem mi chiese di realizzare una litografia da regalare agli ospiti importanti. Non me lo feci ripetere e realizzai “Scirocco”, un gabbiano che travolto dal vento rischia di finire in una rete da pesca” (l’uccello rappresenta il volo libero che non è sempre immune da insidie, ndr).
Quando Giuseppe Francobandiera il suo libro lo presentò a Brindisi di Montagna, dove aveva le sue radici, invitò Rolla a portare alcuni quadri per arredare la sala comunale e fu la prova della solidità dell’amicizia che legava Giuseppe e Antonio, che tra l’altro creò la cartella di litografie “I fatti che contano”. Giuseppe Francobandiera era arrivato da poco nella Bimare. Uno spicchio di sole in un cielo attraversato da nuvole vagabonde e scure. Era sincero, schietto, disponibile, cordiale, riservato. In un batter d’occhio riconosceva il furbo, lo scalatore, l’opportunista. All’epoca era molto corteggiato, perché stava aprendo porte socchiuse, dando molto più fiato alla cultura. Aveva una fantasia sconfinata, una cultura profonda, un enorme spirito d’iniziativa, un’intelligenza vivace.
“Gli sono stato vicino per anni – racconta Antonio –, a volte mi chiamava per avvertirmi che stava per arrivare un camion carico di opere di un artista di grande valore e io correvo per assistere allo scarico”. Mi piacerebbe entrare nei dettagli, ma le pagine non sono elastiche. Antonio lo fa, rispolverando una ricchezza che non ha eredi: fa parte della storia di un uomo instancabile, Francobandiera, ricco di volontà e capacità di costruire. Con lui la masseria Vaccarella era una fabbrica, una palestra. Era malandata e Giuseppe le aveva restituito la bellezza: stalle, dimora padronale, cortile, patio, tutto a disposizione della cultura. Quella che era stata il fulcro del lavoro contadino era diventata un centro d’incontri culturali elevatissimo.
Francobandiera, venuto dalla Basilicata, o Lucania (luce), aveva resuscitato una struttura che si stava riducendo in rudere. Inimmaginabile per chi non l’abbia frequentata l’attività poliedrica in essa esercitata. Vi arrivarono Renzo Arbore, Roberto Benigni, Francesco Guccini, allora giovane… Per gli spettacoli del Teatro sull’erba sciami di tarantini si riversavano alla Vaccarella e d’inverno al Teatro Orfeo, che accolse Milva e altri vip della scena. “Ricordo Gigi Proietti in ‘A me gli occhi, please’. Su quella ribalta Peppino ha continuato una tradizione: c’erano stati Ernesto Calindri, Emma Gramatica, Marisa Merlini, Alighiero Noschese, Eduardo, Paolo Poli… e in tempi più lontani Wanda Osiris, la Wandissima.”
Le mostre di pittura e scultura alla Vaccarella non si contano. Tutte di artisti famosi di livello internazionale. “Grazie a Giuseppe ne ho conosciuti tanti, anche Arnaldo Pomodoro, Carmelo Cappello che, come altri, realizzarono anche multipli per i soci del Circolo. Grande evento fu ‘La nave romanza’: un’imbarcazione con pianista e cantanti a bordo che intonavano brani lirici. Ho conosciuto lo scultore Cappello, Domenico Cantatore, Filippo Alto, Robert Carroll, Igor Mikoraj, Pericle Fassini, Umberto Mastroianni, che sagomò una scultura nelle officine dell’Italsider con la collaborazione degli operai. Io creai una cartella di litografie in omaggio a Raffaele Carrieri, e a presentarla fu Giovanni Acquaviva, direttore del Corriere del Giorno.”
Le intuizioni di Giuseppe Francobandiera, che voleva aprire gli occhi alla cultura di Taranto, erano gemme. Per la notte di San Lorenzo, quella delle stelle cadenti, inventò un’atmosfera quasi surreale con banchetti, postazioni di interpreti di antichi mestieri e un forno che aveva fatto allestire apposta per cuocere pizze speciali. Giuseppe conosceva bene Taranto, i suoi scrittori, i suoi poeti: Diego Marturano, Alfredo Nunzio Majorano, Diego Fedele, Alfredo Lucifero Petrosillo, Claudio De Cuia e Peppino Cravero, poeta dialettale e cultore del vernacolo, … e li rispettava.
Antonio Rolla è un ruscello che porta a valle acqua limpida. Parla di Peppino Francobandiera con slancio. A lasciargli la parola, racconterebbe con passione la storia di un uomo che qualcuno, come Franco Zoppo, le cui conferenze raccoglievano siepi di intellettuali rapiti dalla sua parola, lo indicava come sindaco della città, io tra questi, pur essendo lontano da qualche anno dalla mia culla. Francobandiera, alla masseria Vaccarella, forgiò momenti straordinari. Qualcuno li ha dimenticati? Morando Morandini, critico cinematografico del quotidiano “il Giorno”, che vi aveva tenuto una conferenza, era tornato ammirato. Peppino invitò anche Gianni Brera, che aveva inventato un linguaggio e aveva scritto per anni anche lui per “il Giorno”. Non furono i soli. Non ho sottomano l’elenco.
Francobandiera purtroppo ha cambiato casa: si trova nell’Olimpo dei grandi artefici. E ha lasciato a Taranto una ricchezza che a quanto pare non ha eredi. Anch’io ho avuto il piacere di conoscere Giuseppe Francobandiera in casa di Filippo Alto, a Figazzano, a un tiro di fionda da Martina Franca, Cisternino e Locorotondo. Parlava poco, mai delle sue creature: le migliaia di idee che ha aveva messo in cantiere. Lo interpellai da Milano quando il film su Garibaldi era stato proiettato nella sale, per chiedergli un commento come avevo fatto con Bocca, Montale, Pillitteri, Tognoli ed altri. Espresse il suo giudizio con due parole.
Inventare un altro Francobandiera? E chi può? L’Olimpo è pieno e in terra bisognerebbe cercarlo con la lanterna di Diogene, con risultati deludenti. Giuseppe Francobandiera possiamo solo ricordarlo, con gratitudine e affetto.
*Giornalista e scrittore